UN SENATO DELLE AUTONOMIE


Dopo l'entrata in vigore della Costituzione, il sistema bicamerale paritario - e più in generale il procedimento legislativo della Repubblica Italiana - sono stati oggetto di alcune critiche e proposte di modifica. La più importante è stata il disegno di riforma costituzionale che prevedeva l'introduzione di un Senato delle Autonomie.

Che cosa s'intende quando si discute di Senato delle Autonomie?

L'espressione si riferisce ad una parte importante del contenuto della legge riforma costituzionale presente nel progetto di legge del governo Renzi del 2014. Essa, dopo aver ottenuto l'approvazione delle Camere secondo la disciplina dell'art. 138, fu sottoposta all'attenzione dei cittadini attraverso un referendum, quello del 4 dicembre 2016.

Trattandosi di referendum costituzionale non fu necessario il raggiungimento del quorum, in quanto alle urne si presentò il 65,47% degli elettori con una percentuale contraria alla mozione del 59,12%. Di conseguenza il provvedimento non fu messo in atto.

Il nuovo sistema bicamerale consisteva nel superamento del cosiddetto bicameralismo perfetto, in favore di un unicameralismo differenziato: la Camera dei deputati sarebbe diventata l'unica ad esercitare pienamente la funzione legislativa, di indirizzo politico e di controllo sul Governo, diventando quindi l'unica titolare del rapporto di fiducia con il Governo. I deputati inoltre sarebbero rimasti i soli "rappresentanti della Nazione". Il Senato, invece, sarebbe diventato "rappresentante delle istituzioni territoriali", esercitando funzioni di raccordo tra lo Stato e gli altri enti costitutivi della Repubblica, e tra questi e l'Unione europea, partecipando quindi alla formazione e all'attuazione delle politiche comunitarie, verificandone l'impatto diretto sui territori.

Proposte di modifica rilevanti riguardavano anche il Titolo V della Costituzione, relativo al rapporto fra lo Stato e gli enti locali. La medesima materia era stata oggetto di una precedente revisione costituzionale, approvata dal referendum popolare dell'ottobre 2001, con la quale si era cercato di aumentare il decentramento amministrativo italiano. Con la riforma Renzi-Boschi invece si voleva riaffermare un nuovo accentramento, riportando in capo allo Stato la competenza legislativa in diverse materie. Il provvedimento proponeva in particolare una radicale riforma del Senato della Repubblica, la cui principale funzione sarebbe diventata quella di rappresentanza delle istituzioni territoriali, concorrendo paritariamente con l'altra camera all'attività legislativa solo in determinati casi.


Buone e cattive ragioni a sostegno della riforma

L'abolizione o la trasformazione del Senato ha innescato un ampio dibattito. Semplificando l'oggetto della discussione ruotava sulla necessità di alleggerire l'iter di approvazione delle leggi, che, implicava, il venir meno quel potere di veto di un'istituzione che è stato un importante presidio della democrazia negli ultimi anni.


Giovanni Luchena, che discusse a proposito della proposta di legge del 2014, sulla base di quanto appena detto riteneva che "il bicameralismo asimmetrico, strutturato appunto in due camere non ostili ma che cooperino fra loro, che cioè non accentui le dinamiche di «flusso» (deterritorializzazione della rappresentanza, separazione delle élites decidenti dai propri insediamenti sociali) ma recuperi quelle di «luogo», può essere un'occasione irripetibile per l'auspicato "risorgimento" delle autonomie territoriali che ne scongiuri il riassorbimento nella logica regressiva della ausiliarietà". Ovvero "Con il nuovo Senato si istituisce un organo mediante il quale le Regioni e gli enti locali possono finalmente avere la possibilità di una più efficace proposizione o rappresentazione delle loro istanze e di rendere efficace e produttivo l'esercizio dei poteri di cui formalmente sono titolari".

I rappresentanti delle regioni, in particolare i sindaci, simboli della municipalità, avrebbero accesso al Senato e qui, potrebbero generalizzare le proprie istanze e necessità. Proprio in questo proposito sorgerebbe, secondo coloro che non sostengono la riforma, il primo problema; infatti i rappresentati delle entità locali si troverebbero ad avere una sovrapposizione di mandati che potrebbe ledere l'efficienza e la capacità amministrativa del sistema regionale a causa di vuoti di rappresentanza politica per concomitanza di impegni.


Tra coloro che hanno sostenuto la riforma nel 2016, una figura importante è quella di Raffaele Bifulco. Professore ordinario di istituzioni diritto pubblico presso la facoltà di Giurisprudenza dell'Università degli Studi di Napoli Parthenope. Il quale ritiene che convogliare gli interessi territoriali in assemblee parlamentari sia fondamentale per due ordini di ragioni.

La prima motivazione consiste nel fatto che l'autonomia territoriale, e in particolare quella regionale, siano state pensate per essere un elemento caratterizzante, e non solo di contorno, della nostra forma di Stato. Facendo l'esempio delle varie forme di federalismo ricorda come, la presenza delle autonomie territoriali nel procedimento legislativo fornisce un contributo essenziale. Contro coloro i quali ritengono che così facendo si moltiplichi il numero dei legislatori, il professore ribatte che si tratta solo di sostituirli con rappresentanti di entità locali ma non di aumentarne il numero.


In secondo luogo c'è un'esigenza di non restringere i canali democratici facendo in modo che gli enti territoriali non siano rappresentati esclusivamente dall'Esecutivo, ma siano portati al centro della funzione legislativa. Infine si tratta della necessità di "tenuta" del sistema politico-partitico, in quanto il diritto comparato mostra che "gli Stati dotati di una seconda Camera ben funzionante consente di contenere le spinte centrifughe dei territori, rispetto agli stati privi di tale istituzione".


Al contrario, Alessandra Algostino, docente di Diritto costituzionale nell'Università di Torino, ha criticato la riforma sotto più punti di vista: il primo riguardava il fatto che la richiesta per la modifica costituzionale e per il Referendum consultivo fosse stata fatta in maniera anticostituzionale e non seguendo la procedura adatta.

In secondo luogo, il disegno di legge proclama, con una formulazione tipica degli Stati federali, che il Senato «rappresenta le istituzioni territoriali», ma, come è stato osservato, non essendo l'Italia uno Stato federale, ciò mostra il carattere non politico della rappresentanza. L'impossibilità di ricondurre a tutto il popolo l'elezione dei rappresentanti rende illegittima - per violazione della sovranità popolare (art. 1 Costituzione)- l'attribuzione al Senato di funzioni tipiche di un'assemblea rappresentativa, quali la partecipazione al procedimento di revisione della Costituzione e, nelle ipotesi in cui ciò è previsto, al processo legislativo ordinario.


In conclusione, si possono riassumere brevemente le motivazioni del sì alla riforma: come la possibilità di rendere più chiare e generali le posizioni degli enti territoriali al Governo; e quelle del no, per la mancanza di costituzionalità, ma soprattutto per la poca omogeneità e chiarezza della riforma che quindi avrebbe complicato, piuttosto che semplificare, i rapporti tra Stato centrale ed entità regionali e territoriali.



Professore di riferimento: Vincenzo Luca Sorella 
Creato con Webnode
Crea il tuo sito web gratis! Questo sito è stato creato con Webnode. Crea il tuo sito gratuito oggi stesso! Inizia